Le parole di guerra sono ormai entrate a pieno titolo nel linguaggio quotidiano, quindi mi adeguo.
In attesa di un probabile ritorno al coprifuoco, sfogliando innumerevoli testate “giornalistiche” (l’uso delle virgolette è volutamente utilizzato per sottolinearne la reiterata incapacità a cui assisto da oltre un anno) con le altalenanti notizie di nuove attese e nuove confusioni, siamo ripiombati nel fluttuante tempo scandito da decreti.
Anche oggi, il mio sguardo sui social ha occhi clinici. Certo, per lavoro, ma certamente e costantemente sempre spinto dalla necessità di leggerci tra le righe la condizione mentale della società in cui viviamo.
Fino a qualche tempo fa il botta-risposta del parere non richiesto era relegato a Facebook, tanto da portarmi spesso a mettere in pausa per 30 giorni (opzione favolosa) alcuni profili. E credo che tutti abbiamo assistito ad improvvise esplosioni di onniscienza scientifica. La saga continua, ma sono molto colpita dall’arrivo di questa tipologia di post anche su Linkedin.
LinkedIn è (era) una piattaforma utilizzata principalmente da aziende e professionisti per raccontare i propri brand, far conoscere i valori, le direzioni, le acquisizioni, cercare personale, potersi candidare e innumerevoli altre opportunità qualificanti.
In Italia accoglie e racconta circa 15 milioni di persone (dati aggiornati dall’ultimo Global Web Index) un numero considerevole di professionalità.
Ma cosa sta accadendo?
La paura torna a bussare alla porta e si freme dalla voglia di comunicare se si fa parte della schiera dei vaccinisti/non vaccinisti, riportando anche qui una valanga di pareri non richiesti e personalmente credo totalmente fuori luogo per questo tipo di audience.
“Claudia perché dici questo?”
Perchè la mia esperienza in selezione e gestione del personale mi ha insegnato davvero tanto e soprattutto perché nel nostro Paese soprattutto esistono degli argomenti (come calcio e politica) che, se toccati, rischiano di scatenare vere e proprie “guerre professionali”, di quelle silenziose, di quelle il cui rischio di mobbing è dietro l’angolo.
E poi abbiamo dimenticato il “diritto alla privacy”?
Abbiamo letto e condiviso così tante perplessità sull’App Immuni relative alla privacy, da scatenare e scomodare i più alti gradini della gestione della legalità per finire a sbandierare pensieri pesanti come bombe atomiche, carichi di ira e di… inconsistenza.
“Claudia come ti permetti di parlare di inconsistenza?”
Non ho mai creduto nell’onniscienza o forse sì, ma solo per SuperVicky, she’s a small wonder.
E ho sempre temuto le persone che si professano onniscienti, soprattutto quando non è richiesto il loro parere. Credo che quest’atteggiamento nasconda una grande insicurezza e un’immensa incapacità di gestire timori e debolezze, che sono parte integrante dell’essere umano SANO (indipendentemente dal Covid)
E mi rammarica leggere professionisti con molto seguito sbandierare con “violenza” l’appartenenza alle nuove fazioni che si stanno configurando ogni giorno di più tra vaccinisti e non-vaccinisti. Non condanno nessuno, non è mio compito.
Mi piacerebbe solo ci ricordassimo ogni tanto, di tener conto del contesto in cui stiamo esponendo le nostre idee perché c’è un’audience sempre in ascolto fatta da persone come me, analisti attenti e preoccupati. Ma io ci tengo alla privacy e non pubblicherò screenshot alcuno perché ritengo sia giusto che ognuno sia libero di organizzare e costruire le proprie idee.
Ho letto un pensiero in un libro però che mi ha molto colpito perché intriso di verità (a mio modesto e umilissimo parere). Quello che stiamo vivendo ha portato a galla un fianco scoperto della nostra società Occidentale.
Il Covid ha “ricordato” che la morte fa parte della vita ma in questa parte di Emisfero siamo stati educati e abituati ad occultarne la presenza, come se fosse un cattivo pensiero da cui allontanarci (a differenza di come avviene in molte culture orientali). La presenza e il ricordo che la morte sia parte integrante del processo della vita sapete cosa fa? Accende uno spotlight sul presente.
È quello che è successo nel 2020: tutti si sono dovuti chiedere, fermando le attività consuete: com’è il mio presente? Come mi ci trovo dentro? Come sto davvero nel mio presente?
E da se stessi non si scappa, soprattutto quando sei in lockdown.
Temo però che invece di cogliere la chiusura come un’opportunità per guardarsi dentro, stia emergendo un nuovo lockdown… mentale, che condivide senza comprendere, che combatte senza strumenti, che urla nella stanza sbagliata, che non è più capace di ascoltare e soprattutto di ASCOLTARSI.
Temo che la paura della morte stia facendo più “morti” della pandemia.
Il mio suggerimento per sopravvivere a questi contenuti?
- ignorateli e non commentate, così non gli date spazio e ulteriore visibilità (e prima o poi l’algoritmo si arrenderà e non li vedrete più)
- usate l’opzione “metti in pausa per 30 giorni” se disponibile nel social di riferimento
- condividete speranza, condividete poesia, condividete la vostra gioia del giorno se c’è e se non l’avete vista impegnatevi per scorgerla, così avremo dei feed di utenti pensanti, per il benessere della comunità digitale di cui siamo parte
- leggete libri, leggete favole sia a voi che ai vostri figli
Abbiamo bisogno di socialità anche se a distanza, nella sua migliore accezione.
Ho preparato una playlist per l’occasione (cliccate sul link per ascoltarla tutta).